Dietro il gomitolo 2

mercoledì 30 marzo 2011

Quanti chilomentri percorre un gomitolo? Non saprei ricostruire tutto il viaggio, ma è noto che la maggior parte della lana viene prodotta in Australia o in America del sud e poi va a finire in Cina o in India per essere lavata e lavorata e da qui in tutto il mondo, per essere filata e confezionata e poi venduta.
Questo dovrebbe essere un altro motivo di riflessione per chi acquista filati, insieme ai problemi relativi al controllo sulle emissioni nell'ambiente di sostanze potenzialmente nocive e alle condizioni di chi nel processo lavora materialmente (quali sono gli standard di sicurezza, i livelli di retribuzione?), per non dimenticare il trattamento riservato agli animali (e qui il discorso si fa più misterioso, perchè le pecore non parlano e non hanno blog nei quali lamentarsi dei maltrattamenti che subiscono).
Anche di questo abbiamo parlato a Miagliano. The wool box porta avanti una politica di filiera corta e di ecosostenibilità che non si può non condividere. Le lane prodotte da Biella the wool company provengono da un territorio del raggio di poco più di 20 km dal punto in cui vengono lavorate.
Alcuni giorni fa, in un forum di Ravelry, si parlava di lana autoctona e risorse locali e si rifletteva sul fatto che i prodotti a chilmetro zero corrono il rischio di restare un fenomeno di nicchia, perché non hanno i numeri, perché produrre in un certo modo ha costi che sono fuori dal mercato. Può essere, ma sono sicura che ci si debba pensare. A livello personale credo che il concetto di decrescita sia la chiave, come diceva Alice Twain in una di queste discussioni (spero di non aver frainteso il suo pensiero). Forse sarebbe meglio acquistare gomitoli migliori, più sani per l'ambiente, più sicuri per chi lavora, meno crudeli con gli animali. Avranno un costo maggiore, in ragione del loro valore, della loro qualità e della loro sostenibilità, ma non sarebbe meglio limitare le nostre scorte di filati inutilizzati nelle scatole e negli armadi per avere in cambio tutti i possibili vantaggi di cui ho parlato fin qui?

Dietro il gomitolo

domenica 20 marzo 2011

Ogni appassionata di lavoro a maglia o all'uncinetto diventa, presto o tardi, una maniaca dei filati. Si tratta di una conseguenza inevitabile. Basta leggere i post nei forum dedicati all'argomento; ci sono pagine e pagine di discussioni sulla qualità dei filati, sui colori, sulle diverse fibre, sul mercato dei filati e sulle quantità incredibili di gomitoli e matasse che molte di noi accumulano. La scorta della lanista (quasi) anonima cresce, indipendente dai progetti da realizzare ed è quasi impossibile disfarsene.

Il gomitolo da mezzo diventa fine. La collezione nelle scatole dentro gli armadi, sotto i divani, nelle ceste che affollano i nostri soggiorni (per la disperazione di mariti e genitori) assume un ruolo da protagonista.

Io non sono una delle massime esponenti di questa corrente, ho solo 3 scatole di filati nella mia tana (è risaputo che gli orsi non si costruiscono abitazioni troppo spaziose), ma adoro i gomitoli e spesso mi sono chiesta come nascono, da dove vengono.
Alcuni giorni fa ho avuto l'opportunità di farmene un'idea, grazie a The wool box e a Natascia, che mi ha invitata a conoscerli.

The wool box
è un progetto che nasce insieme a Biella the wool company, un consorzio che si propone di riunire produttori, esperti, persone in grado di gestire la lavorazione della lana, allo scopo di proteggere e conservare un patrimonio biologico e culturale che altrimenti andrebbe perso per sempre.

La pecora biellese


La loro sede si trova a Miagliano, comune del Biellese, un ex villaggio fabbrica sorto intorno a un antico lanificio che, fondato nel 1865 ha cessato l'attività all'inizio degli anni '90. Definire la visita interessante è riduttivo. La struttura ha un fascino incredibile perchè unisce le suggestioni dell'archeologia industriale alla sensazione che il lavoro lì sia ancora vivo, non solo perchè ci sono alcune persone che lavorano all'interno, ma per l'odore di fabbrica che c'è ancora, per le strutture, i macchinari in disuso, l'archivio con i campioni di tutti i tessuti prodotti in quella fabbrica dalla metà dell'800 in avanti. C'è un sapere che viene conservato con cura e con entusiasmo, perchè non muoia.
Poi c'è lo showroom, con una parte della mostra Wools of Europe, che espone lavori realizzati dagli artigiani di tutta l'Europa utilizzando la lana prodotta dalle razze ovine locali, razze la cui lana non è pregiata, dimostrando come, da un prodotto che generalmente si smaltisce come rifiuto, si possano ottenere manufatti straordinari. Il visitatore può vedere le foto degli animali, leggere le didascalie con le loro caratteristiche e la provenienza geografica, ammirare i prodotti della fantasia e dell'abilità degli artigiani e soprattutto toccare e annusare il vello sucido da cui si è ottenuta quella lana. Vi assicuro che è un'esperienza sorprendente.
The wool box inoltre conserva, rigorosamente sottovuoto, i velli di 87 pecore di razze diverse, provenienti da 27 Paesi.

Se vi ho incuriosito, mettetevi in contatto con loro, è una visita che merita.
Continua...

Nuovo pattern

venerdì 18 marzo 2011






Lo so, la primavera è alle porte, ma fa ancora freddo.
Ok, è una scusa abbastanza patetica, a dire il vero il problema è che sono sempre in ritardo con la pubblicazione dei pattern. Il lavoro di scrittura delle istruzioni, la fase dei test in italiano e in inglese (soprattutto questa) per me sono molto impegnativi. Insomma, mi perdonerete anche questa volta, spero.

Baby it's cold outside è uno scaldacollo perfetto per i giorni più freddi. Lavorato in piano con un filato grosso e ferri n. 6, è un progetto adatto a chi vuole iniziare a prendere confidenza con le trecce e con la tecnica dei ferri accorciati e per chi vuole la soddisfazione immediata di un capo subito pronto o un regalo last minute.
Il titolo si ispira all’omonima canzone di Frank Loesser, un classico interpretato, fra gli altri, da Dean Martin, Ray Charles, Ella Fitzgerald, Dionne Warwick, Tom Jones.

Ecco il mio nuovo pattern gratuito:
Baby it's cold outside
Per scaricarlo occorre iscriversi a Ravelry, se non lo avete già fatto, cosa aspettate? L'iscrizione è gratuita e non vi arriveranno e-mail moleste, mai.

download now

Il filato che ho usato è Puno1 di Filitaly-lab, potete trovare molte informazioni su questi filati e altri pattern gratuiti nel blog Kniteasy . In alternativa al Puno1 potete usare il Puno2 messo doppio.

Per il test ringrazio di cuore Summer, Chris, Rebecca (per la versione inglese) e Cinzia e Mirella (per la versione italiana).

Buon lavoro!

Una festa che festa non è

martedì 8 marzo 2011

L'8 marzo non è una festa, è un momento di riflessione, la commemorazione di una strage. La strage avvenne nel 1908 a New York, in una fabbrica tessile, dove 129 donne che scioperavano da giorni per rivendicare condizioni di lavoro decenti, morirono nell'incendio divampato nella loro fabbrica perchè i proprietari le avevano chiuse all'interno. La mimosa, come simbolo di questa giornata nasce nel 1946 per iniziativa delle donne dell'UDI (da wikipedia), un movimento che univa le donne appartenenti ai maggiori partiti politici dell'Italia appena liberata.

Perciò oggi non sarebbe il caso di festeggiare con bagordi e spogliarelli, ma varrebbe la pena di fermarsi per un momento a pensare cosa siamo state e cosa siamo stati, chi vogliamo essere, chi siamo e cosa vogliamo diventare. La vita delle donne oggi è diversa da come era nel 1908, ma non dappertutto e non abbastanza. Ci sono Paesi dove nascere femmine è un grosso handicap, c'è chi fa di tutto per farci o per farci sentire merce e ci riesce benissimo (vedere il post del Grande Marziano, per chi non lo avesse ancora fatto).

Credo che oggi, invece di foraggiare il mercato della mimosa (al massimo la compro da un ambulante), penserò al significato di parità di diritti, cosa vuole dire essere una donna anzichè un uomo (chissà se in fondo la differenza è davvero così spiccata) e a cosa posso fare per boicottare una cultura che ci vuole schiave inconsapevoli.

Liebster blog e il compleanno del blog di Emma

mercoledì 2 marzo 2011

Emma Fassio Knitting compie due anni e festeggia con un regalo per le sue lettrici. Se ancora non lo avete fatto, potete partecipare all'estrazione di una bella borsa porta progetto realizzata da Emma scrivendo un commento a questo post. Emma non ha bisogno di presentazioni, è una delle migliori designer su Ravelry e ha un blog molto ricco di risorse per noi maniache del gomitolo. Tra i suoi numerosi pattern, quello che preferisco è il Rosa's sleeveless cardi-jumper che ho realizzato per me, un progetto semplice e geniale, rapidissimo da fare e di grande effetto, adatto a tutte le stagioni, basta cambiare il filato e il diametro dei ferri e si otterrà un capo invernale o un top trasparente per l'estate. Lavorato in tondo, non richiede cuciture e, con un semplice gioco di aumenti si ottiene il particolare delle punte laterali. Questa è la mia versione.
Se tra voi ci fosse qualcuna che ancora non segue il suo blog, questa è l'occasione buona per incominciare.

Un'altra blogger amica, Donna di am...magliando, mi ha fatto l'onore di assegnarmi il Liebster Blog Award, un riconoscimento ai piccoli blog com meno di 300 lettori fissi. Trasmetterlo a un massimo di altri 5 blog è facoltativo. Grazie Donna, io non passo il testimone anche e soprattutto per non avere l'imbarazzo di scegliere 5 tra i molti blog che seguo, ma inaugurerò una serie di post dedicati ad altri blog. Questo era il primo.

Scuola

martedì 1 marzo 2011


Ho appena sentito il presidente (del) con(s)iglio sbraitare di scuole piene di insegnanti comunisti che vogliono inculcare (strano questo verbo dalle sue labbra, mi sarebbe sembrato più familiare con una c in meno) nelle teste dei ragazzi principi contrari a quelli che i loro genitori vorrebbero. Mi ha fatto venire voglia di rispondergli che i genitori che vogliono una scuola che insegni ai loro ragazzi la storia in chiave revisionista o che desiderano riempirgli la zucca di superstizioni, se la devono pagare, eccheccavolo.

Mi è venuta in mente anche una canzone di Eugenio Finardi, "Scuola", di cui vi riporto alcuni versi.


Io volevo sapere la vera storia della gente
come si fa a vivere e cosa serve veramente
perchè l'unica cosa che la scuola dovrebbe fare:
è insegnare a imparare.

Vi consiglio di ascoltarla tutta, se non la conoscete.